Salina è storicamente un’isola a profonda vocazione agricola, che ha poi virato la sua economia, verso l’offerta turistica.
Oggi è importante più che mai connettere le due cose: agricoltura e turismo.
Se vogliamo guardare al futuro, che vuol dire pensare a un turismo che possa consolidarsi nel tempo e dare frutti duraturi, non possiamo pensarlo slegato dall’economia agricola. Il turismo può solo avvantaggiarsi da un’agricoltura fiorente.
Faccio un esempio semplice: produrre vino (ma anche altro) e proporlo ai turisti con l’informazione giusta significa creare una vetrina privilegiata per i nostri prodotti. Il turista è la persona che porterà altrove il prodotto e l’informazione. E tutto questo funziona bene perché passa dall’esperienza diretta e dall’assaggio: chi viene qui e prova i capperi di Salina capisce che sono buoni, e sono diversi dai capperi che si trovano in giro. E allora li vuole e li raccomanda. Io credo che questa debba essere la strada da percorrere: turismo e agricoltura possono insieme rilanciare e valorizzare la terra e i suoi frutti. Altrimenti ogni vocazione turistica è destinata a languire.
Una grande cosa sarebbe realizzare la zonazione dell’isola. Abbiamo terreni tra loro molto diversi perché frutto di attività eruttive avvenute in tempi consecutivi. Bisognerebbe classificarli e censirli. E allora si vedrebbe che le terre verso il mare sono più vocate per i rossi, quelle mediane per la malvasia passita e quelle nei versanti più alti per la malvasia da vinificare secca. Queste sono le mie ipotesi esperienziali, ma andrebbe fatto un serio lavoro di zonazione di cui tutti i produttori si avvantaggerebbero.
La seconda tematica verso cui la viticoltura dell’isola e delle isole tutte dovrebbe guardare con estrema tensione è l’agricoltura rispettosa dell’ambiente ovvero biologica. Perché rispettare l’ambiente crea un beneficio per tutti. Qui da noi, inoltre, le condizioni pedoclimatiche sono molto favorevoli per rinunciare a trattamenti o ausili di sintesi. Siamo una Riserva naturale dal 1984 e la cultura ambientale deve far parte di tutti noi.
Da qui mi collego alla terza sfida del futuro: fare vini sempre più territoriali. Se tu operi nel rispetto della pianta e della terra, senza invasioni con prodotti di sintesi, avrai un’uva sana che esprime appieno il terreno in cui è nata e cresciuta. Quest’uva forte e sana ti consentirà di rinunciare a ogni artificio enologico, a partire dall’utilizzo di lieviti selezionati che tolgono ogni specificità che le uve autoctone possono imprimere al vino. Cito le principali: malvasia di Lipari, corinto nero, nerello mescalese, perticone e grillo.
Nelle altre isole la produzione vitivinicola è molto ridotta. Ma qualche produttore c’è, oggi più di ieri. E sono convinto che dopo la sbornia totale del turismo finalizzato a se stesso debba esserci un ritorno all’agricoltura. Le due cose sono connesse. C’è un numero crescente di persone che chiedono prodotti agricoli caratterizzati localmente, sani e con una storia. Noi li abbiamo e li potremmo avere maggiormente, per rispondere a questa crescente sensibilità e domanda.
Il turismo è ormai nel Dna delle nostre isole ma deve legarsi allo sviluppo agricolo ecocompatibile del territorio. Ridare vita alle economie agricole significa anche mutare il tessuto antropologico di un luogo. La concentrazione totale sul turismo stagionale ha sfilacciato il legame delle persone, quelle che vivono qui, con il territorio e anche le relazioni. Io credo che sia necessario un poco tornare indietro per andare avanti.
Nino Caravaglio