Salina isola enoica

Un paradiso al quadrato

Che di arcipelago di origine vulcanica si tratti è sufficiente uno sguardo a dirlo.

Alicudi è un cono quasi perfetto; Stromboli è un vulcano vivo, ad attività regolare ed intensa oggetto di raffinati monitoraggi scientifici e meta di un turismo vulcanologico costante; Vulcano esala quotidianamente le sue fumarole.

Ma Salina è ancora altro. Vista dal mare sembra un miraggio. Un’isola o due? Un duplice cono, armonico e doppiamente rotondo, tenuto insieme da una valle.

Salina vista dall'altopiano di Lipari

Salina vista dall’altopiano di Lipari

L’isola si chiamava Didỳmē (da δίδυμος, dìdymos, “gemello” in greco antico) e non si capisce davvero chi e quando abbia sciaguratamente progettato di cancellare quel nome appropriato e poetico, vivo e illuminante.

I due coni sono due montagne. Il Monte della Fossa delle Felci con i suoi 962 metri è la cima maggiore dell’arcipelago: in tarda primavera il vecchio cratere si ricopre di felci, da qui il nome.

L’altro è il Monte dei Porri (mt 860).

Alle pendici dei monti crescono erica, corbezzolo, cisti, ginestre, lentisco e caprifoglio. Sul versante est del Monte delle Felci la macchia assume l’aspetto di una fitta boscaglia. Sulla sommità è un vero bosco rigoglioso (impiantato negli anni Cinquanta) di pini marittimi, ontani napoletani e castagni. Numerose le specie di uccelli rapaci stanziali e migratori: poiana, gheppio, falco grillaio, falco pellegrino, falco della Regina.

Siamo nella Riserva Naturale Regionale Orientata che dal 1984 protegge un’area di oltre 1000 ettari sull’isola.

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Malfa

Dai monti al mare: il nome Salina, si riferisce all’attività estrattiva del sale marino che avveniva, già dal Medioevo, nel laghetto della località di Lingua, suggestivo angolo con il vecchio faro (è in progetto una ristrutturazione), il laghetto solcato da papere bianche e nere, i due piccoli ma curati Musei comunali, quello archeologico e quello etno-antropologico.

Il laghetto di Lingua permette di accogliere molti uccelli acquatici migratori che non potrebbero sostare nelle altre isole.

Il laghetto di Lingua a Salina

Il laghetto di Lingua a Salina

La storia di Salina la raccontano gli scavi archeologici che attestano periodi prosperi alternati all’ abbandono. Ritrovamenti presso Santa Marina documentano un insediamento greco attorno al IV secolo a.C. Le invasioni arabe resero l’isola deserta finché, attorno al XVII secolo si ripopolò con l’arrivo di comunità spagnole e siciliane. Negli scavi di Portella sono emerse consistenti tracce di insediamenti dell’età del bronzo, periodo in cui l’isola cominciò a essere abitata. In questo stesso sito nel 1999 sono stati rinvenuti semi di vite datati 1450 a.C.

La viticoltura, e in generale l’agricoltura, insieme alla pesca e ai commerci sono stati fiorenti economie di queste isole lungo tutta la loro storia e fino al Novecento. Lo testimonia a Salina un piccolo Museo del vino.

Il professor Marcello Saija docente di Storia delle istituzioni politiche dell’Università di Messina ha scritto il saggio Salina, la Malvasia e il “blocco continentale” (Rivista italiana di Studi napoleonici, numero monografico, 2-1999, anno XXXII, pp. 45-59) in cui, secondo i suoi studi, la malvasia arrivò a Salina con alcuni veneziani in fuga da attacchi turchi, nella prima metà del Seicento.

Tuttavia va detto che non v’è vitigno più nomade e onnipresente in tutto l’arco mediterraneo della malvasia. Il suo viaggio, a partire dalla Grecia antica passando per Roma e giungendo alla Repubblica di Venezia è un emblema della storia delle civiltà che solcarono questo mare. La ricerca filologica è sempre utile e tuttavia in questo caso probabilmente non ci sarà dato trovare un unico bandolo e nemmeno un’unica matassa. Val la pena forse rassegnarsi alla sua natura di vitigno nomade che ha unito, attraversato e anche ignorato ogni confine.

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Di certo a Salina, ma anche in altre isole ed in particolare a Stromboli, quest’uva ha regalato uno splendido XIX secolo: traffici marini, flotte con centinaia di velieri, isole attive e popolate. Erano quasi 10.000 gli abitanti a Salina a metà Ottocento (oggi sono circa 2300).

Nel 1889 la filossera in poco più di un anno decimò tutti vigneti delle isole.

E la viticoltura languì tremendamente, fino ai primi reimpianti avvenuti negli anni Trenta e, soprattutto, al cambio di rotta dagli anni Ottanta in poi.

Tra mare e terra

La cosa migliore da fare a Salina è percorrerla. Sbaglierebbe di grosso chi vi cercasse soltanto sole e mare. Chiariamo una cosa: non resterebbe certo deluso. Un bagno nelle acque smeraldo della baia di Pollara basterebbe a placare ogni desiderio umano di pace e bellezza. Ma tanto perderebbe chi non si armasse di spirito esplorativo, inforcasse un motorino e decidesse di percorrere, lentamente e attentamente, ogni singola strada. L’isola non ne ha molte – quelle che servono. E per il resto sentieri e camminamenti. Come in una vera oasi di bellezza ecologica.

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Vigneti Caravaglio a Valdichiesa

Cercate la campagna, a Salina. Lasciate la costa per Malfa, centro agricolo importante in passato e oggi sede di quasi tutte le cantine presenti sull’isola. Lasciatevi stordire dal sole, dal silenzio o dalle cicale, dal verde intenso dei vigneti e delle centinaia di piante di capperi. Fatevi stupire, se non l’avete incontrato prima, dall’enigmatica e ineguagliabile bellezza del fiore del cappero (a giugno e luglio). Odoratelo per capire cosa è un profumo oltre ogni tentativo di classificazione.