Nino – Antonino- Caravaglio è nato a Salina, da famiglia salinara.
I nonni paterni – Francesco Caravaglio e Caterina Caravaglio – provenivano da storiche famiglie locali, anche se Caterina nacque a Boston e tornò solo poi sull’isola, all’età 7 anni. L’emigrazione toccava già, in parte, queste terre.
Il nonno materno – Antonino Maiorana – era invece di Milazzo e venne a Salina a innestare. Era quello che oggi chiameremmo un tecnico agrario. Qui conobbe la nonna – Maria Terzita Taranto- e si fermò sull’isola. Siamo agli inizi del Novecento.
Il padre, Gaetano Caravaglio (che era figlio unico) continuò l’attività agricola dei genitori.
Racconta Nino Caravaglio: “L’attività agricola è storia e identità di Salina. Ne sono simboli e protagonisti il cappero e la vite. È vero che siamo un’isola, circondata dal blu del Mediterraneo. Tuttavia io mi sento più uomo di terra che di mare. Più contadino che marinaio o pescatore. E questo non riguarda solo la mia storia, ma la storia dell’isola.
La terra era importante, era la terra che dava sostentamento, molto più del mare.
Salina era un’isola totalmente coltivata. I terrazzamenti erano ovunque, i muri di contenimento.
Il paesaggio isolano era un paesaggio agricolo di cui ancora oggi si vedono i segni.
Mio padre seguiva la campagna, aiutato da tutta la famiglia, e andava anche a pescare. A seconda dei ritmi agricoli, calibrava i tempi di pesca. Era quella agricola l’attività principale e importante. Basti pensare che mio padre in un anno raccoglieva e preparava 25 quintali di capperi.
Produceva anche vino rosso (nerello mascalese e cappuccio, perricone, calabrese, diavola…) che veniva venduto come come vino sfuso o in barili di legno, destinati a vino da taglio per il mercato italiano e francese.
Mio fratello ed io lo accompagnavamo, in campagna e a pesca. Nella memoria restano impresse la pesca del tonno e del pesce spada, con le loro lunghe preparazioni e la loro indiscussa ritualità.
La campagna era fiorente, anche se richiedeva un lavoro faticoso e costante.
“Voglio ricordare mio padre poiché è lui che mi ha trasmesso l’amore per la terra, il suo rispetto, la gioia di accogliere i suoi frutti. Anche la dedizione, senza la quale è impossibile ottenere la qualità.
Mio padre purtroppo è scomparso ancora giovane quando i miei fratelli ed io eravamo ragazzini. Lui però continua a vivere concretamente, in ciò che ogni giorno facciamo in vigna, in cantina, o nella cura dei capperi.
Ma voglio ricordare anche mia madre, attenta e lungimirante, che ci ha cresciuti e indirizzati alla continuazione degli studi, poiché era fermamente convinta che, tanto più su un’isola, non ci potesse essere un futuro buono per noi senza studiare. Caparbietà e sacrifici per i figli, poiché l’unica risorsa economica in famiglia proveniva dalla campagna”.
E così Nino Caravaglio studiò. E scelse di studiare proprio Scienze agrarie, all’Università di Catania. Poi tornò sull’isola. E riprese, con rinnovate idee e nuova energie, i poderi del padre, che già produceva vino.