Le altre isole

Lipari

Isola madre tra le Eolie, la più popolata dell’arcipelago. Ricca di testimonianze storiche, nonché di scorci di rara bellezza.

Lipari è l’isola dello sguardo.

Lipari. Vista da Quattrocchi.

Lipari. Vista da Quattrocchi.

Il consiglio è quello di percorrerla in tutte le sue strade interne, che raggiungono gli altopiani. Ad ogni gomito di strada, ad ogni tornante l’isola si fa imparare e si offre, offrendo al tempo stesso un volo immaginativo che sorvola l’arcipelago. Sono unici e irripetibili, perché tutti diversi, gli scorci che offre delle e sulle altre isole. Cambiano le prospettive, i colori. Si offre, se il cielo è nitido, l’Etna nella sua maestosità. La Calabria. Oltreché le sei isole sorelle.

In antichità l’isola era denominata Lipara (Λιπάρα, da λιπαρός in greco antico, che significa grasso, untuoso, e per estensione brillante, ricco e fertile). Infatti l’interno dell’isola dice della sua antica vocazione agricola, delle contrade, dei piccoli santuari di popolare devozione, come Criesa Vecchia appollaiata sull’altura di Quattropani e circondata da un giardino che termina in un orto sul mare.

Chiesa Vecchia (località Quattropani, Lipari)

Chiesa Vecchia (località Quattropani, Lipari)

Sempre a Quattropani sono le vecchie cave di caolino, con belvedere naturale a strapiombo su rocce rosse e mare blu mozzafiato. Davanti a voi, se la giornata è chiara, il maestoso Etna.

Vista dalle vecchie cave di caolino (Lipari)

Vista dalle vecchie cave di caolino (Lipari)

Nella Lipari cittadina, a fianco del porto si cammina tra vie lastricate e i vicoli, si percorre  la storia urbana. Il centro storico di Lipari è dominato dalla cinta fortificata detta Castello posta su una alta rupe a picco sul mare. La cinta muraria risale al IV secolo a.C. ma i ritrovamenti archeologici attestano nuclei abitati sin dal II secolo a.C.

Dalla scala di via Castello, la Trinità dei Monti liparota, si sale alla Cattedrale di San Bartolomeo votata nel 1084, edificata intorno al 1130 e rimaneggiata in varie epoche, fino al 1861 che le diede la facciata attuale, in stile tardo baroccheggiante.

Lipari. Cattedrale di San Bartolomeo.

Lipari. Cattedrale di San Bartolomeo.

Proseguendo invece la passeggiata sul piano si arriva a Marina Corta, porticciolo incantato che affaccia su una storica piazza.

Lipari. Marina corta.

Lipari. Marina corta.

Il museo archeologico regionale eoliano, che ha sede nel complesso del Castello di Lipari, è uno dei musei più importanti del Mediterraneo. Vi si ricostruisce la storia delle isole e sono ospitati copiosi e importanti reperti archeologici provenienti sia dall’abitato, che dai corredi funerari: vasi, cippi, steli tombali e sarcofagi in pietra che testimoniano l’evoluzione del culto dei defunti. Inoltre ceramiche di tipi e fogge varie, maschere teatrali e statue fittili.

Lipari. Museo archeologico.

Lipari. Museo archeologico.

Presente il vino, con varie testimonianze archeologiche, tra cui il frammento di un’anfora che riporta l’iscrizione enoica.

A ridosso della località di Acquacalda si trovano le dismesse cave di pomice. Un complesso industriale attivo fino a qualche decennio fa per l’estrazione della pomice, ora chiuso. Ambiente dismesso in cui salsedine e ruggine stanno facendo il loro corso. Il tutto appoggiato su un lembo di spiaggia che proprio grazie alla chiara pomice ha aspetto e colore di una spiaggia caraibica.

Un tratto di costa dalle alte potenzialità di oasi per turismo eco-sensibile. Ad oggi lasciato a se stesso.

Stromboli

Stromboli. Ovvero “la rotonda”. Stromboli, dal greco antico, Στρογγύλη “rotondo”.

Il modo migliore per arrivarci è prendere la nave a Napoli, al sera, e giungere, alle prime luci dell’alba, in vista del favoloso cono vulcanico che si materializza, quasi all’improvviso, in mezzo al blu cobalto del mare.

La sua cima è quasi sempre circondata da piccole nuvole, condense vulcaniche o aria di magia.

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Stromboli vista dal mare

 

Tre le contrade principali: Scari, con il molo su cui attraccano le imbarcazioni in arrivo; San Vincenzo, cuore storico dell’isola, Ficogrande, con la spiaggia in cui appassiva la Malvasia, e Piscità, contrada più appartata che fa capo alla chiesetta di San Bartolo.

Stromboli, Piscità.

Stromboli, Piscità.

Sul lato opposto è Ginostra, raggiungibile solo via mare che ospita il porticciolo più piccolo del Mediterraneo. Abbarbicata sul fianco del vulcano, vi si sale da una ripida scala, su cui si arrampicano anche i muli per trasportare derrate e materiali. Una vecchia e malridotta chiesa, edificata grazie agli emolumenti degli emigrati locali a Brooklyn, si affaccia su un terrazzo che offre alla vista tutte le Eolie.

A Stromboli non circolano automobili. Si cammina e si percorre l’isola, al massimo usufruendo i uno die piccolo e silenziosi taxi elettrici.

Architettura e natura fanno il paio poiché qui si è rimasti quasi del tutto indenni da scempi edilizi.

Le case, basse e bianche si affacciano sui giardini. La spiaggia con la sua sabbia nera e le rocce create da antiche colate, poi ammaestravate da vento e salsedine, creano visioni uniche.

E poi c’è il vulcano. Emerso circa 160.000 anni fa. Che si staglia a un’altezza di 926 m s.l.m. Attivo. Esplosivo. Le sue eruzioni di lapilli infuocati e spari spettacolari nel buio della notte, avvengono con una frequenza media di circa un’ora. Periodi di totale inattività sono piuttosto rari. Il più lungo tra quelli a memoria ricordati registrati è stato il biennio dal 1908 al 1910. Periodi di prolungata quiescenza, della durata di qualche mese, sono stati registrati più volte.

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Esplosioni stromboliane

Tra 10.000 e 5000 anni fa il settore nordoccidentale subì notevoli frane, lasciando una profonda depressione a forma di ferro di cavallo che si estende dalla cima fino ad una profondità di circa 2000 metri sotto il livello del mare: la Sciara del Fuoco. Lentamente la depressione venne riempita da materiale piroclastico e colate di lava. Ma oggi lo spettacolo visivo e uditivo della Sciara del Fuoco è magia pura. Un ripido pendio da cui, ad ogni esplosione del vulcano, rotolano sassi, detriti e lapilli sulla sabbia scura, alzando nuvolette di polvere dalle forme roteanti e mobili, un sobbollire di corsa fino al tonfo che porta i sassi a cadere nel mare.

Al vulcano si sale solo in cordata con le guide, con spedizioni autorizzate dalla Protezione civile.

A poche centinaia di metri a nord-est dell’isola di Stromboli si trova il neck di Strombolicchio, residuo di un camino vulcanico risalente a circa  200.000 anni fa. L’isolotto ospita un faro della Marina, oggi disabitato e automatizzato. Fino agli anni sessanta viveva in mistica solitudine il guardiano del faro. I resti degli argani con cui tirava su la sua barca sono oggi mezzi consunti da ruggine e tempo.

Strombolicchio visto da Stromboli

Strombolicchio visto da Stromboli

Stromboli fu abitata fin dall’antichità remota (resti archeologici in località San Vincenzo), e la sua economia fu eminentemente agricola e mediterranea:olivo, vite (soprattutto malvasia coltivato su terrazzamenti), fichi. Non mancava una fiorente pesca e soprattutto una buona marineria. I maestri d’ascia di Stromboli erano noti in tutto il Mediterraneo.

Stromboli

Stromboli, Caletta Grotta di Eolo

Tutto questo fino alla fine del XIX secolo. Nel 1891 l’isola contava 2700 abitanti. Poi venne la fillossera. venne l’avvento die battelli a vapore. L’Unità d’Italia. La Prima guerra. La peronospora a decimare le viti rimaste negli anni Trenta e, sempre nel 1930, una grossa eruzione.

La  maggioranza degli strombolani prese la via dell’emigrazione, soprattutto verso l’Australia l’isola rischiò seriamente di restare abbandonata.

Oggi Stromboli, che è una località esclusivamente turistica, conta circa 400 abitanti.

Roberto Rossellini nel 1949 girò sull’isola “Stromboli terra di Dio” la cui protagonista femminile era una giovane Ingrid Bergman, e proprio sull’isola nacque la sua lunga storia d’amore con il regista romano. Celebre la lettera con la quale l’attrice svedese contattò, qualche mese prima del film, Rossellini scrivendogli che lo ammirava molto e aveva visto tutti i suoi film, motivo per cui lo invitata a contattarla se avesse avuto bisogno di un’attrice che era sua ammiratrice, ma che se parlava perfettamente inglese, “in italiano sapeva dire soltanto Ti amo”.

Vulcano

L’isola è nota per le sue fumarole, che raccontano di un vulcano ancor attivo al cui cratere si può salire seguendo un percorso segnato, senza la necessità di guide.

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Vulcano

Vulcano è conosciuto anche per i suoi fanghi termali, le sue sorgenti di acque sulfuree nelle cui posse i turisti si bagnano e fanno i “fanghi”:

A Vulcano molto – e forse anche troppo- è stato costruito. La penisola di Vulcanello ospita numerosi complessi edilizi.

Ma Vulcano è anche entroterra. Se si lasciano le spiagge subito la strada si inerpica in un paesaggio brullo e quasi lunare, con il con vulcanico coperto dai sabbia e ceneri a fianco. C’è chi alleva le capre, ricavandone degli ottimi formaggi.

Salendo la strada porta ad un largo altipiano in cui sorgono vari insediamenti, che rappresentavano il cuore agricolo e pastorizio dell’isola.

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Vulcano, altopiano.

Nel versante opposto a quello del porto sorge il piccolo agglomerato di Gelso, con il vecchio faro.

Alicudi

La più estrema delle Eolie è senz’altro lei. Il suo cono stagliato sul blu del mare ricorda Stromboli, ma appena il piede tocca terra si capisce che siamo in un luogo unico al mondo.

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Alicudi Porto

Alicudi è l’isola della verticalità. Non ci sono strade né sentieri. Unica passeggiata concessa, quella lungo il porticciolo. Poi si sale, indiscutibilmente, si sale. Le scale larghe, massicce che dal porto guidano all’arrampicata fino in cima e fin quasi dentro il vecchio cratere sono “un monumento alla fatica dell’uomo”, come dice Teresa Perre, l’ultima maestra di ruolo di Alicudi, ora in pensione, intervistata nel bel documentario “L’ultimo giorno” di Alberto Bougleux. La scuola lotta contro la chiusura: chiudere al scuola sarebbe amputare una comunità. Piccola ma esistente. Quaranta anime, distribuite da zero a 666 metri.

Si sale e chi sale si sentirà stringere il cuore per il visibile abbandono dei terrazzamenti un tempo coltivati, per l’abbandono di vecchie tradizionali case oliane abbarbicate sui fianchi della montagna.

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Vite antica sul sagrato della chiesa di San Bartolo ad Alicudi

E proprio Montagna si chiama la località in cima, dove la scala conduce a un piccolo e paradisiaco altipiano. Un orto delle meravigli sin cui fichi, albicocchi, peschi, castagni convivono con piccolissimi vigneti. Impossibile non citare, nel quasi totale abbandono della particola, agricola l’eroico lavoro di Rosina Barbuto che a Montagna ha la sua casa stanziale, mentre d’estate si sposta più in basso, dove tiene un piccolo e semplice bed and breakfast, offrendo agli ospiti la sua cucina di casa, intatta ed arcudara. Grazie a lei soprattutto, l’altopiano di Montagna dà ancora preziosi frutti.

Alicudi, località Montagna

Alicudi, località Montagna

Più in basso la bella chiesa di San Bartolo, oggi non utilizzata, con una terrazza sospesa tra mare e cielo.

Alicudi è il valore della terra. La fatica. Un museo diffuso di antropologia ed agricoltura storica.

Un luogo che dovrebbe essere tutelato e, forse, anche nuovamente coltivato e popolato. Sfide per genti evolutive.

Filicudi

L’isola era nota come Phoinicussa dal sostantivo phoinix (Φοινιξ) che, in greco antico, indica la palma nana, molto diffusa in epoca antica ed oggi ancora presente sui promontori dell’isola.

Filicudi

Filicudi

Filicudi è la quinta isola in ordine di grandezza ed è dominata dal Monte Fossa Felci, un vulcano spento (773 mt s.l.d.m.) Sull’isola ci sono altri sette, tutti inattivi.

Le località sono Filicudi Porto, Valdichiesa, Pecorini, Pecorini a mare, Canale e Rocca di Ciavoli, collegati tra loro dall’unica strada e da una fitta trama di mulattiere.

Sull’isola regna la macchia mediterranea: piante di cappero, ginestre, ulivi, lentisco, carrubi, artemisia…

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Filicudi rappresenta il nucleo storico centrale delle Eolie poiché qui furono rinvenuti i resti dei primi abitanti dell’arcipelago, che faceva parte della cultura di Capo Graziano, dal nome del promontorio in cui furono rivenute tracce consistenti di villaggio neolitico.

In particolare queste comunità si dedicavano a una fiorente lavorazione dell’ossidiana. Sull’isola una sezione del Museo archeologico eoliano, con reperti provenienti dagli scavi di Capo Graziano e da altre zone delle isole Eolie.

La luce elettrica è stata portata a Filicudi nel 1986 con un impianto di generazione a gasolio, innescando lo sviluppo del turismo.

Panarea

Poco più di uno scoglio che, come per magia, emerge dal blu delle acque mediterranee. Un piccolo  paradiso che offre baie di bellezza inconsueta, valorizzate soprattutto dalla visione dal mare. Le barche a vela sanno che questo è un luogo imperdibile.

Lisca bianca, isolotto al largo di Panarea

Lisca bianca, isolotto al largo di Panarea

Infatti con gli isolotti di Basiluzzo, Spinazzola, Lisca Bianca, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche, Panarea costituisce un microarcipelago fra Lipari e Stromboli.

Dal punto di vista geologico Panarea è la più antica isola delle Eolie. Nei pressi della spiaggia della Calcara è tuttora possibile scorgere fumarole di vapori (con temperature fino ai 100 °C) che si levano dalle fessure fra le rocce, ultime tracce di attività vulcanica. In alcuni punti fra i ciottoli in riva al mare, per effetto di queste sorgenti di calore, l’acqua ribolle.

Panarea è piccola e raccolta e tuttavia anche in quest’ila non mancano i segni di insediamenti agricoli. Viti, olivi e alberi da frutto, ancora è possibile capire, che fossero al centro di un’economia isolana.

Oggi con fatica qualcuno ci riprova.